Anche se i referendum non hanno colto la vittoria cercata, hanno però messo in movimento un notevole numero di cittadini e lavoratori, riaprendo così attese e bisogni che non devono andare dispersi.
Queste energie vanno raccolte e valorizzate in un progetto che migliori le condizioni, le competenze, i diritti dei lavoratori e la condizione generale del Paese in una prospettiva di sviluppo.
Sappiamo che quanto sopra prospettato non sarà realizzato dal governo in carica, che ormai ha dimostrato la sua vera politica: liberismo, agevolazioni fiscali alle imprese senza contropartite, vessazioni per salari e pensioni.
Lo stesso dicasi per Confindustria, che non sollecita i suoi iscritti all'innovazione tecnologica e alla ricerca sull’intelligenza artificiale, ma si accontenta di produzioni a basso valore aggiunto.
Tranne poche isole produttive, il Paese è coricato. Il tasso dei laureati è tra i più bassi d'Europa (26%); molti giovani smettono di studiare e non cercano lavoro, molti neolaureati ogni anno lasciano l'Italia.
La politica dell'attesa fa male alla democrazia e dovremmo nei due anni prima delle prossime elezioni attivarci per dare una prospettiva europea alle tematiche del lavoro immaginando normative e leggi contrattuali che garantiscano in egual misura tutti i lavoratori europei e agevolando la formazione di sindacato unitario per tutti i Paesi d'Europa.
Una riforma del lavoro europeo garantirebbe i diritti dei cittadini evitando che gli stati si mettano in competizione tra loro per accaparrarsi le imprese a suon di agevolazioni fiscali o minori garanzie per i lavoratori.
Inoltre, in un momento di rifiuto verso gli organismi sovranazionali, una campagna a sostegno di una riforma europea del lavoro farebbe riguadagnare fiducia nell'Unione Europea e renderebbe evidente come la ricetta “sovranista” della destra, che ha convinto tanti nostri concittadini a scegliere l’attuale maggioranza, non possa garantire posti di lavoro se non a spese dei diritti e dei salari dei lavoratori.

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