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Il decreto Ronchi, che contiene la norma che obbliga i comuni ad affidare ai privati la gestione degli acquedotti, invade pesantemente le competenze regionali, tanto che già oggi alcune Regioni e Comuni hanno annunciato di volerla impugnare di fronte alla Consulta.

La legge nazionale, secondo il titolo quinto della Costituzione, dovrebbe limitarsi a definire la cornice entro la quale le Regioni possono assumere i propri indirizzi. Il Parlamento ha invece approvato un testo che vanifica la legge regionale lombarda, approvata meno di un anno fa dopo una lunga discussione che teneva conto anche del punto di vista di tanti sindaci, di diverso colore politico, che avevano promosso un referendum. "Ci aspettiamo - dichiara Carlo Porcari - che il Presidente Formigoni, un tempo molto attento alle istanze federaliste, ricorra alla Corte costituzionale come stanno facendo altre Regioni e altri comuni italiani. Questo provvedimento legislativo nazionale non solo, come ha ricordato il presidente dell'antitrust Catricalà, non è accompagnato da una robusta autorità che controlli le tariffe e garantisca gli investimenti, ma imponendo la cessione delle quote delle aziende pubbliche ai privati comporterà la svalorizzazione e la dissipazione di un patrimonio pubblico costruito in un secolo di storia". Annullando di fatto gli spazi per l'affidamento in house e introducendo di ruolo gestionale e non solo di erogazione per i privati, continua Porcari, "si rischia di vanificare un pilastro della legge regionale che oltre a dichiarare l'acqua 'bene comune', manteneva saldamente in capo alle municipalizzate, in forma associata la gestione delle reti e degli investimenti. Sorprende - conclude - l'atteggiamento della Lega, così federalista a parole e così inerme di fronte alle scelte centraliste del Governo. Se Bossi dichiara, ancora una volta, che 'non si può morire per una legge', ci chiediamo per cosa i leghisti siano disposti non tanto a morire, ma almeno ad aprire bocca".

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