Seguici su: Facebook  Instagram  YouTube

PeriferiaConcept resized

Prendo spunto da un articolo apparso su Il Cittadino di Monza riguardo alle dichiarazioni di una consigliera comunale durante la seduta del 16 gennaio sui cosiddetti maranza, così come da alcuni post sulla disponibilità di cittadini a svolgere attività di controllo. Quest’ultima notizia, in particolare, mi riporta alla mente qualcosa che sembrava ormai appartenere al passato: le improbabili e improvvisate ronde padane. Le squadre vaganti di maroniana memoria – era il 2009 – armate non di fucili, ma pronte a sparare cialtronate.

Nella nostra città esiste da molti anni il Controllo di Vicinato, costituito da gruppi di cittadini attivi e opportunamente regolamentato, che, attraverso la consapevolezza di ciò che succede nei quartieri, ha l’obiettivo di ridurre il degrado sociale segnalando le anomalie e le criticità in termini di reati contro le cose e le persone.

Il Piano straordinario sicurezza predisposto dalla Prefettura in accordo con Polizia Locale, forze dell’ordine, Guardia di Finanza ed Esercito (operazione Strade sicure), rimodulando e pianificando il presidio nelle aree di Monza che richiedono maggiore attenzione, ha dato il risultato auspicato, con una riduzione delle criticità e un calo dei reati.

In questi tempi complessi dal punto di vista socioeconomico, l’Amministrazione, nonostante la scarsità di personale interno, ha dovuto rispondere a nuovi bisogni, rafforzando la rete e il ruolo del terzo settore con iniziative di co-programmazione e co-progettazione. Inoltre, ha partecipato a bandi e progetti rivolti ai giovani e alle loro necessità non solo di spazi fisici (riqualificando ad esempio luoghi di ritrovo degradati), ma anche culturali, ricreative o semplicemente ludiche e di convivialità

Purtroppo, c’è chi fa della paura – e del concetto del diverso in senso più ampio – un’ideologia, cercando di dare sempre delle etichette banali e giustificando una città dove gruppi di giovani diventano sorvegliati speciali delle cosiddette ronde. Una soluzione che non farebbe altro che amplificare tensioni, incomprensioni, paura e disagio, o addirittura conflitti generazionali.

Negli ultimi due anni, grazie all’impegno dell’Assessore Ambrogio Moccia e del Comandante, la Polizia Locale di Monza è riuscita a dare un maggiore impulso alla propria attività tramite la riorganizzazione dei servizi. Questo con l’introduzione, per esempio, del vigile di quartiere in bicicletta e con interventi non solo di tipo sanzionatorio relativamente alla sicurezza stradale; ma anche di presidio, tutela e controllo del territorio in sinergia con le altre forze dell’ordine. E, infine, attraverso la presenza nelle scuole per attività di educazione civica volte a promuovere la cultura della legalità, la cura dei beni comuni, il rispetto del prossimo.

Affrontare il tema della sicurezza percepita con improbabili ronde improvvisate non fa che aumentare tensione e conflitto. Laddove servirebbero invece da parte dello Stato maggiori risorse per intervenire in modo congiunto assieme alle amministrazioni locali con progettualità di carattere culturale e sociale in un’ottica di prossimità, attraverso l’associazionismo e forme di amministrazione condivisa. Il tutto favorendo soluzioni mirate a far emergere le vulnerabilità in contesti di marginalità urbana, soprattutto giovanile, co-progettando spazi di coesione e inclusione. 

È quindi chiara la pretesa strumentale del centro-destra monzese, che ha criticato il nostro partito perché nella stessa sede del Circolo 1 è stata ospitata un’iniziativa organizzata dal FOA Boccaccio dal titolo “Maranza di tutto il mondo unitevi”. Molto interessante a tale proposito l’intervento della consigliera comunale, oltre che segretaria del circolo, Sarah Brizzolara, che trovate in questo articolo.

Ben venga, anzi, questa iniziativa del FOA per fare chiarezza sul rapporto tra disagio giovanile, sicurezza e periferie. Perché occorre non banalizzare, come fa il centro-destra, con delle facili etichettature; bensì è utile sottolineare il contesto sociale e urbanistico in cui nascono comunità di giovani che necessitano di spazi di aggregazione funzionali alla loro crescita dal punto di vista umano, professionale, culturale, sociale e di cittadini corresponsabili nell’essere parte determinante del futuro della società. In altre parole, con un senso di cittadinanza che parta dal riconoscimento dei diritti e dei doveri, e nel prendersi cura delle persone e della comunità

Giudicare a priori senza entrare nel merito delle vicende che portano un giovane verso una strada di marginalità può essere fuorviante, e avere l’effetto contrario, seppure voluto, di creare sacche di illegalità più o meno visibili, senza avere attuato strumenti per prevenirle.

Non è un caso che, con adeguata tempestività, l’iniziativa del Boccaccio sia stata organizzata a qualche settimana dall’incidente – riguardo il quale le indagini sono tuttora in corso – del giovane Ramy nel quartiere Corvetto di Milano, inseguito da una pattuglia delle forze dell’ordine fino allo stremo. Ecco trovato il luogo comune per eccellenza, il capro espiatorio chiamato per banalizzazione immigrato, straniero, di cui avere paura essendo diverso e a cui vengono negati diritti sociali e civili.

La questione potrebbe essere sviluppata partendo da più punti di vista. In particolar modo, dall’idea di periferia dove sorgono la maggior parte dei quartieri popolari, costruiti soprattutto negli anni ‘70 e nei quali i servizi sociali sono ridotti al minimo essenziale o del tutto inesistenti. Lì vivono famiglie in condizioni di disagio e di precarietà lavorativa, spesso immigrate, con una concentrazione di situazioni di vulnerabilità sociale, necessità di presidi sociali e di assistenza sociosanitaria. Quartieri caratterizzati da alti livelli di dispersione scolastica, ove le disuguaglianze si manifestano con più evidenza; sia al loro interno che, ancora maggiormente, nella forma urbis, in una logica di divari territoriali tra zona centrale e periferia.

Prima con il decreto rave e poi con il decreto sicurezza per Caivano, ci siamo accorti delle modalità con cui il centro-destra – più destra che centro – al governo cerca soluzioni alla necessità dei ragazzi di spazi di aggregazione, più evidente nelle periferie. Leggi securitarie di inasprimento delle pene, maggiore repressione, uso della forza e militarizzazione delle aree periurbane. Senza investire in prevenzione, mentre una presenza di strutture del terzo settore sportive o culturali con poche risorse cerca, nel migliore dei modi e in accordo con le amministrazioni locali, di colmare la mancanza dello Stato.

Inasprimento di pene e operazioni di repressione non fanno altro che sovraffollare le carceri di giovani in attesa di sentenze. Mi è capitato di parlare con alcuni nella casa circondariale San Quirico di Monza.

Ragazzi che, una volta ulteriormente etichettati, rischiano di entrare nel maledetto tunnel della recidiva, mentre dovrebbero seguire percorsi per uscire dal disagio, dalla marginalità e dalla precarietà. Le stesse condizioni che, in assenza di strutture adeguate, li porta a commettere piccoli reati per poi ritrovarsi in circostanze peggiori, inclusa la criminalità organizzata. Come se quel destino fosse per loro segnato dalla nascita. Sono pochi quelli che con la propria forza di carattere e determinazione riescono a uscire dallo stato di detenzione attraverso un lavoro dignitoso. Ne ho incontrato uno che sta studiando per laurearsi in Scienze dell’Alimentazione.

In Italia la periferizzazione è da sempre caratterizzata, seppure con maggiore evidenza nell’ultimo decennio, da fenomeni migratori interni o internazionali, la cui soluzione dovrebbe richiedere impegni unitari a livello europeo e di cooperazione internazionale. L’ideologia del respingimento generalizzato dei governi nazionalisti, autocratici e sovranisti non fa altro che alimentare ulteriormente la conflittualità, la paura e la tensione. In aggiunta, il rischio per i giovani che scappano da paesi non sicuri trovandosi ad affrontare tutte le difficoltà per avere il permesso di soggiorno – o anche nati in Italia senza una reale cittadinanza – di cadere nell’illegalità per sopravvivere, vivendo in condizioni di degrado sociale e abitativo, è altissimo. Con la conseguenza per molti di ritrovarsi in un carcere senza quasi saperne il motivo.

Il tema del diritto alla cittadinanza diventa fondamentale sia per il rispetto della nostra Costituzione, ma anche dell’articolo 7 della Dichiarazione universale dei diritti fondamentali dell’uomo. Oltre a ciò, è importante sottolineare che servono risorse da parte dello Stato, perché le amministrazioni locali da sole con i propri servizi sociali non possono arrivare ovunque.

Fortunatamente, nelle nostre città – tra cui anche Monza – esistono tantissime associazioni che lavorano in rete per cercare di dare una risposta al disagio giovanile. Per farlo, attivano migliaia di volontari in tanti quartieri, elaborando anche percorsi di co-progettazione di comunità educanti partendo dagli istituti scolastici, come il SUS nel quartiere San Rocco.

L’Amministrazione ha attivato un programma di partenariato con i comuni aderenti al piano di zona (Villasanta e Brugherio), AFOL Monza e Brianza e una serie di cooperative ed enti del terzo settore (Meta, Medihospes, Sism, Carrobiolo 2000, Sulé Onlus, Parafrisando) per co-progettare una serie di interventi rivolti ai giovani. Sia dal punto di vista dell’orientamento che per contrastare la dipendenza da dispositivi elettronici origine di solitudine e isolamento sociale, ma anche rispetto all’inclusione e al superamento di pregiudizi e stereotipi

In Italia vi sono quartieri periferici noti alle cronache per situazioni di degrado: lo Zen a Palermo, le Vele di Scampia e Ponticelli a Napoli, il Corviale o Tor Bella Monica a Roma, Il CEP di Genova, i quartieri periferici di Milano come Corvetto, Gratosoglio, Giambellino, o Baranzate (dal 2004 Comune separato). In queste realtà sono presenti reti di soggetti a cui poter far riferimento, che svolgono attività di contrasto al disagio giovanile.

Associazioni e cooperative che operano – per fare un esempio – nei quartieri sopra richiamati sono: Cubo Libro di Tor Bella Monica, Terre di Confine di Ponticelli, la cooperativa Libera compagnia di Arti e Mestieri sociali a Milano, la Bottega di Libera a Palermo, il Circolo ARCI Pinacci di Genova, La Rotonda a Baranzate. Sono impegnate quotidianamente in iniziative di legalità, nell’inserimento e orientamento scolastico-lavorativo, in percorsi formativi, nel recupero di spazi di aggregazione e socialità, in attività culturali, sportive e ricreative; oltre che nell’organizzazione e promozione di eventi in luoghi privi di vitalità, detti quartieri dormitorio.

Diversi anni fa conobbi la realtà del Gridas, voluta dal suo fondatore Felice Pignataro a Scampia. Si tratta di un centro di aggregazione giovanile, che promuove la cultura dell’integrazione, dell’accoglienza e dell’inclusione contro ogni forma di discriminazione attraverso laboratori civici per realizzare il famoso carnevale di Scampia.  

In quell’occasione ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere Daniele Sanzone del gruppo musicale A67, che nei testi delle sue canzoni (premiate al Festival della canzone popolare Luigi Tenco) racconta delle condizioni di disagio giovanile nella periferia suburbana e delle possibilità di avere delle opportunità attraverso l’arte e la creatività, come la musica. Le contraddizioni delle città tra centro e periferia le troviamo all’interno delle periferie stesse, che possono però anche essere luogo fisico e sociale di riscatto e opportunità.

Grazie a una storia amministrativa e di partecipazione civica particolarmente attenta agli aspetti sociali, che ha sempre guardato all’inclusione e all’integrazione, Monza non presenta aree periferiche con alti livelli di disagio giovanile o di emergenza abitativa; come avviene invece nelle città metropolitane Italiane oppure in modo ancora più evidente nelle banlieue parigine, nelle favelas o slums delle megalopoli latino-americane e del sud del mondo.

Benché la nostra città abbia vissuto fenomeni contenuti di delinquenza giovanile anche in zone centrali, il tema va allargato oltre i suoi confini amministrativi, in quanto molti giovani si ritrovano a Monza provenendo da comuni contermini privi di luoghi e spazi di aggregazione. È chiaro che, quando i “non luoghi” diventano vitali, tali fenomeni non si generano e le “non città” diventano spazi di socialità umana, crescita e sviluppo sociale e culturale, di civismo attivo.

Occorrerebbe quindi allargare il tema della periferia a un concetto non solo spaziale o urbanistico, ma soprattutto sociale ed esistenziale, connesso in modo diretto con il tema dell’abitare. Tenendo altresì conto del diritto alla cittadinanza oltre il dettato normativo sebbene necessario, considerando il fatto che lo ius sanguinis è superato dai fenomeni migratori, e costituisce una norma che limita la possibilità per molti giovani immigrati di godere degli stessi diritti dei loro coetanei, pur dovendo assolvere agli stessi doveri.

Ritengo utile allargare ancora di più lo sguardo per comprendere a fondo la complessità, la vastità e l’interdisciplinarietà delle tematiche che intrecciano disagio giovanile, sicurezza e periferie.

Occorre ripartire dalla sfida della globalizzazione per ripensare le città in modo integrato a livello locale, per superare la contraddizione del modello dello zoning degli anni ’50-’70, per promuovere città fatte di scambi e relazioni di prossimità e coesione.

Le persone migrano nelle città perché trovano maggiori opportunità professionali, culturali e relazionali. Questo è un fatto positivo, perché le rende vive. D’altro canto, l’abbandono delle aree interne del mondo flagellate da guerre, carestie, mutamenti ambientali e condizioni di sfruttamento è un problema a cui la politica deve fare fronte con urgenza attraverso organizzazioni sovranazionali.
Il trasferimento di grandi masse di abitanti nelle città genera un problema nuovo nella storia dell’umanità, che l’architetto urbanista Alejandro Avarena chiama delle tre S: Scale (scala del fenomeno), Speed (rapidità delle migrazioni), Scarcity (scarsità di risorse). Si tratta di un fenomeno che avviene con una velocità senza precedenti, ed è perciò complesso da governare. Basti pensare che, su tre miliardi di persone che vivono ora nelle città, un miliardo è al di sotto della soglia di povertà. Nel 2050, su cinque miliardi di persone che vivranno nelle città, due miliardi lo faranno in povertà.

La sfida che dovremmo affrontare sarà quella di ridefinire il modello di città iperpianificando in ottica multiscalare lo sviluppo regionale, partendo dalle aree periurbane e interne, per garantire la riduzione dei divari territoriali in termini di equità, di pari diritti civili e sociali e di opportunità di espressione delle proprie capacità. È fondamentale evitare la polarizzazione eccessiva dei servizi e delle funzioni, che porta all'incremento del valore economico delle aree urbane “centrali”. Questo fenomeno, insieme alla crescente finanziarizzazione, provoca la gentrificazione e la periferizzazione di ampie fasce della popolazione. In termini organici, l'ipertrofia urbana rende le città escludenti “non città” (Rem Koolhaas).

Se pensiamo alla nostra città, proviamo a immaginare quanti sono i ragazzi che si spostano dalle zone suburbane verso il centro per cercare opportunità di svago o luoghi dove potersi ritrovare senza essere oggetto di pregiudizi ed etichette, senza la necessità di nascondere fragilità o emozioni, dove poter esprimere la propria identità di genere. Molti ragazzi arrivano a Monza dai paesi limitrofi di rango minore (Crystaller) poiché vi individuano maggiori opportunità di costruire relazioni umane e scambi sociali, trovando più luoghi idonei alle loro esigenze rispetto le piccole città di origine. Le soluzioni vanno elaborate in modo condiviso tra i diversi livelli di governo.

Spesso, la ricerca da parte dei giovani del proprio ruolo nella società in una dimensione collettiva avviene in modo distorto, soprattutto quando il contesto di periferia in cui vivono diventa un vincolo esistenziale. Ciò porta molti ragazzi all’isolamento e alla solitudine, rifugiandosi in una comfort zone rassicurante ma spesso irreale. Tale fenomeno, accentuato ulteriormente dopo il Covid, si manifesta con stati depressivi, ansia e difficoltà nel confrontarsi e relazionarsi in modo libero e naturale al di fuori dell’infosfera (Luciano Floridi). Quest'ultima, composta da avatar algoritmici e cibernetici apparentemente comprensivi e accoglienti, ha in realtà lo scopo di influenzare scelte e decisioni.

Il contesto scolastico, in relazione con quello famigliare tramite i patti di corresponsabilità socioeducativa, è importantissimo per la costruzione di comunità fatte da cittadini consapevoli e di città “anti-fragili”. Vuol dire aprire i confini delle ideologie, abbattere i muri esistenziali tra centro e periferia, tra un fuori e un dentro, tra condizioni di privilegio e di discriminazione. Rendere granulari e permeabili le interazioni umane, costruendo infrastrutture sociali dal basso in una logica di prossimità non solo nelle aree più congestionate, ma anche in quelle più interne (progetto Fondazione Cariplo SOStare – Custodi del futuro).

Si tratta di superare gli stereotipi e i pregiudizi che portano alla convinzione che i problemi legati ai giovani possano essere risolti esclusivamente con la lente della repressione, della forza coercitiva, che priva della capacità di esprimersi nella piena valorizzazione della persona umana.

Serve invece promuovere una visione più inclusiva delle periferie urbane e dei ragazzi che le vivono, facendo emergere le loro risorse ed energie progettuali e creative. Un ruolo fondamentale in questo processo è svolto dalle numerose associazioni no profit ETS attive sul territorio, che, attraverso percorsi di co-programmazione con le istituzioni, favoriscono il coinvolgimento di realtà come la consulta giovani e i centri civici.

Per concludere, riporto parte dell’intervista a Papa Bergoglio rilasciata nel 2015 da La Cárcova News, foglio parrocchiale bonaerense.

“Quando parlo di periferia, parlo di confini. Normalmente noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controlliamo. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo, da esso, scopriamo più cose, e quando guardiamo al centro da queste nuove cose che abbiamo scoperto, da nuovi posti, da queste periferie, vediamo che la realtà è diversa.”

Questo è ciò che stiamo cercando di fare a Monza, con un grande impegno del nostro partito e dei rappresentanti nelle istituzioni, in particolare l’Assessora ai Giovani e Partecipazione Andreina Fumagalli e l’Assessora alla Cultura Arianna Bettin. Collaboriamo con i circoli e i cittadini perché le nuove generazioni possano continuare a sentirsi libere di sognare, ad avere le stesse opportunità che abbiamo avuto noi, a realizzare le proprie aspettative, sia come individui che come cittadini. Per costruire un futuro migliore.

1800 Caratteri rimanenti