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Scritto da Ezio Dondè

Circolo_Manifestazione_11_Dic_2010_RomaCon il voto di fiducia al governo Berlusconi si è aperta una fase nuova della vita politica italiana. Il superamento della fase di stallo che ne è derivata è legata in parte alla nostra iniziativa e alla nostra capacità di proposta politica ed anche al senso di responsabilità delle forze politiche che compongono il variegato fronte dell'opposizione al governo Berlusconi. E' bene quindi che ci prepariamo ad approfondire e mettere in campo le nostre proposte e a sviluppare su di esse il confronto con tutte le forze che sono disponibili. Questo non è il momento, a mio avviso non lo è mai, di discriminare questa o quella forza politica.

Sono presenti forze che puntano alla disgregazione dello stato nazionale ,nel nord e nel sud, o che puntano al superamento della costituzione in senso antidemocratico a partire dall'attacco ad istituzioni come la Magistratura. Sono le stesse forze che hanno creato un clima di crescente disaffezione alla politica che fa sì che i cittadini si sentano sempre più distanti dal potere e dalle istituzioni.

E' questo il brodo di coltura di una involuzione democratica alla quale occorre porre rimedio.

C'è poi la crisi economica i cui effetti si stanno facendo sentire in modo pesante e rispetto alla quale la destra di fatto propone di uscirne con lo stesso modello finanziario che l'ha provocata e la sinistra nel mondo fatica a trovare una strada alternativa. In Italia poi il tessuto economico si è ulteriormente impoverito al punto che quando c'è una crisi noi siamo i primi a subirne le conseguenze e quando si determina una ripresa siamo gli ultimi a beneficiarne.

Affrontare i problemi della spesa pubblica, del rafforzamento dell'apparato industriale ed economico, della riforma fiscale, la lotta alla criminalità organizzata, richiede un clima politico di confronto democratico che non ha nulla a che vedere con quello di scontro che Berlusconi ha imposto al Paese.
In questo contesto si colloca il nostro dibattito interno.

E' evidente che esistono strati nel partito che invece di alzare il tono del dibattito politico esprimono un perenne attacco ai gruppi dirigenti,di cui essi stessi fanno parte, individuando in essi i responsabili delle mancate vittorie. Mi pare una posizione superficiale che si rifà ad una visione sbagliata della politica come pura immagine che affida il Partito ad un leader che in una visione populista di sinistra sia il vero antagonista del leader della destra.

Questa visione è sbagliata per due motivi; primo perché non ha funzionato nemmeno per Berlusconi con tutti i soldi e le armi di ricatto che ha, secondo perché non tiene conto della difficoltà che in tutto il mondo ha la sinistra e che quindi occorre nei valori, nelle strategie e nei programmi misurare la nostra forza e le leadership.

Molto c'è ancora da fare, ma è innegabile che sul terreno delle proposte politiche nell'ultimo periodo si è sviluppato un grande lavoro che ha portato a proposte concrete in diversi settori non ultima la riforma fiscale che mi sembra la madre delle riforme. Questa visione della politica però risponde bene a quella che di essa hanno gran parte dei giornalisti che amano per deformazione professionale il contraddittorio personale. Anche nei giornali che non hanno sostenuto Berlusconi, la rottura interna alla destra e stata troppo spesso illustrata come un litigio tra uomini,tra leader e potenziale leader e non come una questione che riguardava i contenuti della politica e un modo diverso di concepire il partito.

E' bastato che Bersani ponesse in una intervista a La Repubblica l'idea che le primarie andassero commisurate al tipo di alleanza che si riuscirà a fare perché si scatenasse in alcuni settori del partito l'idea di un tradimento come se fosse il modo di selezione dei candidati premier e non i contenuti programmatici del partito l'elemento distintivo del partito stesso e come se potessimo imporre a tutti i possibili alleati i nostri metodi di selezione del leader.

Dietro questa posizione c'è, a mio avviso, un tentativo di individuare solo nella sinistra il nostro vero interlocutore,mentre noi vogliamo rivolgerci a tutto l'arco delle forze di opposizione che abbiano a cuore gli interessi del paese a partire dalle nostre proposte perché questo impone la gravità della situazione italiana.

E qui salta fuori l'affidabilità degli alleati.

Quante volte ho sentito dire "non mi fido di Casini, di Fini,di Rutelli". Intanto si è formato un raggruppamento politico nuovo con cui la vecchia maggioranza ha problemi di relazione. La giustezza di una linea politica la si misura anche nella capacità di attrarre forze che sono lontane,non si tratta quindi di avere fiducia negli altri ma di avere una politica in grado di attrarre. La questione delle primarie è marginale rispetto a questo impianto principale.

A volte noi ridicolizziamo i personaggi e pensiamo non abbiano alcun seguito. Durante il congresso ho sentito amici e compagni dire che se Rutelli e la Binetti se ne fossero andati dal partito, il partito avrebbe acquisito nuovi consensi. E' avvenuto tutto questo? Mi pare proprio di no! Anzi si sono persi un paio di punti percentuali cosa che viene ovviamente caricata sulle spalle dell'attuale gruppo dirigente e del suo appeal.

A costoro io non propongo la rottamazione, ma un seria autocritica relativa alla superficialità con cui si affrontano a volte i problemi. La questione delle primarie però propone un modo di concepire l'apertura del partito sulla quale siamo tutti d'accordo , ma con qualche distinguo. Mi pare che molti concepiscano il partito come una specie di carta assorbente rispetto ai movimenti. Io lo concepisco invece capace di elaborare una linea che è aperta ai movimenti e alla società civile , ma che introduce sempre nel confronto la visione generale.

Questo perché i movimenti, le associazioni, che per loro natura hanno una visione ristretta e spesso radicale dei problemi di cui si occupano, sta alle forze politiche contestualizzarli in modo che abbiano uno sbocco positivo. Un partito è democratico perché la sua politica lo è, non perché fa le primarie altrimenti, se si fa eccezione per il partiti democratico e repubblicano americani, nel mondo non ci sarebbe nessun altro partito a cui si potesse ascrivere un attestato di democrazia. Chi ha possibilità di concorrere alle primarie: operai, impiegati, artigiani che hanno una visibilità limitata o piuttosto coloro che per lavoro hanno indipendentemente dalle loro capacità una visibilità più larga?

La strada maestra e riproporre i partiti così come li prevede la Costituzione e cioè come organizzatori del dibattito politico democratico. Per la prima volta nelle ultime primarie americane ha contribuito al successo di Obama una significativa partecipazione popolare,io l'ho apprezzata, ma nella fase successiva si è determinata una parziale rottura con le lobby che hanno economicamente sostenuto la sua campagna elettorale. Questo ha determinato una campagna contro il presidente anche dall'interno del fronte democratico su cui si è innestata la campagna indegna dei nuovi conservatori.

Ho voluto richiamare la situazione americana per dire che un grande comunicatore come Obama può essere battuto dal coalizzarsi di interessi economici e lo dico a tutti coloro che pensano che un Vendola , che ancora non ha espresso alcun contenuto politico,parlando alla pancia dei cittadini italiani possa farci vincere le elezioni. Questo è vuoto populismo di sinistra e la dice lunga sulla degenerazione portata dallo stile berlusconiano anche nelle nostre file.

Ma allora l'alternativa deve essere affidata solo alla nostra razionalità? No, noi dobbiamo lavorare di più sui valori che proponiamo,sull'assetto economico e sociale della società che vogliamo che non può essere quello della destra. Dobbiamo lasciare alle nostre spalle, il socialismo, il comunismo, l'interclassismo cattolico e metterci ad analizzare la società per rilanciare il meccanismo di emancipazione sociale che si è inceppato per effetto dei 30 anni di neoliberismo. In questo sforzo, sono certo troveremo i valori che possono parlare anche alla pancia della gente.

Non siamo i soli a dovere compiere questo sforzo, sono tutte le forze di sinistra e sinceramente democratiche del mondo se vogliono uscire dall'egemonia culturale della destra. Fare politica significa, come diceva Berlinguer, partire dai sentimenti e dalla rabbia per elevarli a capacità propositiva. Vorrei che questo fosse lo spirito che ci anima tutti.

Vorrei anche che la politica della irrisione, dell'attacco costante ai gruppi dirigenti, della raccolta delle firme, delle auto convocazioni, lasciasse il posto ad un impegno concreto che non mortifichi il dibattito, ma anzi lo elevi culturalmente spostandolo dagli assetti del partito alle questioni vere che si devono affrontare.

I migliori non saranno quelli più visibili,ma quelli che faranno bene il loro lavoro, che hanno strategie e idee convincenti e saranno il futuro del partito.