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laboratorio lombardia 2028È stato presentato sabato scorso, 27 settembre, in Assemblea regionale del PD Lombardia il Laboratorio Lombardia 2028, il percorso che accompagnerà i democratici lombardi fino alla fine del 2026, con l’obiettivo di elaborare un progetto credibile e condiviso per sfidare il centrodestra alle prossime elezioni regionali.

A illustrare il cammino è stato Emilio Del Bono, già sindaco di Brescia, che ha proposto un’analisi senza sconti delle fragilità lombarde.

Lombardia non più locomotiva
Il primo dato riguarda l’economia. La Lombardia, storicamente considerata la locomotiva d’Italia, non è più tale. I dati sul PIL mostrano un rallentamento: la competitività regionale non tiene più il passo con le altre regioni motore d’Europa.

Le fragilità sociali ed educative
La Regione è in affanno anche sul fronte delle risorse umane e dell’istruzione. Non è solo un tema demografico: l’abbandono scolastico cresce, e il dato più preoccupante riguarda i giovani di seconda generazione, con un 30% che si ferma alla terza media. Un segnale di disuguaglianza e perdita di capitale umano.

Il ceto medio schiacciato
Del Bono ha sottolineato l’erosione del ceto medio lombardo, schiacciato da salari stagnanti, calo del potere d’acquisto e costi crescenti del welfare. Ogni anno i lombardi pagano di tasca propria circa 12 miliardi di euro per le prestazioni sanitarie e sociali: una vera e propria tassa occulta che pesa soprattutto sulle famiglie.

A questo si aggiunge un dato drammatico: 500.000 lombardi vivono in povertà assoluta, e tre comuni della regione figurano tra i più poveri d’Italia.

Le fratture territoriali
Non esiste più “una” Lombardia: esistono più Lombardie. Quella alpina che si spopola, la pedemontana produttiva, la bassa agricola in difficoltà, la metropolitana globalizzata e diseguale. Aumentano le fratture tra aree urbane e periferiche, aggravate da fragilità ambientali (dissesto idrogeologico, aree da bonificare) e divari infrastrutturali.

Sanità e fondi europei: il mito che cade
La Lombardia non è più prima neppure in sanità: liste d’attesa crescenti, cittadini costretti a rivolgersi al privato, partecipazione ridotta a un optional nei modelli aziendali monocratici.

Neanche nella gestione dei fondi europei la Regione primeggia più: il giudizio della Corte dei conti ha collocato la Lombardia penultima per impegno dei fondi sociali europei.

Eppure, molti lombardi non lo sanno, perché la narrazione ufficiale continua a raccontare una Regione efficiente e vincente.

L’autocritica del centrosinistra
Del Bono non ha nascosto i limiti del centrosinistra lombardo. “Ci siamo autoconfinati per una cultura che ci ha reso marginali”, ha detto. Il PD e le forze progressiste sono spesso “cacofoniche rispetto al pensiero dominante”, parlano un linguaggio che non incontra quello dei lombardi.

È una sudditanza culturale ed elettorale: ci si rassegna a governare solo le grandi città, mentre la destra mantiene il dominio nelle province e nei piccoli comuni.

Un limite che si riflette anche sulla classe dirigente: “Siamo bravi sindaci, ma quando si alza l’asticella – Regione o Nazione – subiamo.”

Un metodo diverso
Da qui la proposta del Laboratorio Lombardia 2028: un percorso di un anno e mezzo di ascolto ed elaborazione, fino a fine 2026.

Non un convegno, non un documento calato dall’alto, ma un viaggio nei territori, una tessitura di relazioni e un arruolamento di energie nuove: partito, civismo, associazioni, municipalità, esperti, cittadini.

Il civismo deve camminare con noi, non essere appaltato come una stampella. La sussidiarietà e lo sviluppo delle municipalità non sono un’invenzione della Lega, sono parte delle nostre culture. E invece oggi la Regione predica autonomia e pratica centralismo.”

Il Laboratorio Lombardia 2028 non deve riempire faldoni, deve riempire vite. Non serve un altro programma con le caselle in ordine: serve un progetto che dica ai lombardi che non sono condannati a pagarsi le cure, a stringere la cinghia, a vedere i figli fermarsi alla terza media.

Non la Lombardia che si accoda al resto d’Italia, ma quella che torna a fare da apripista. Che smette di raccontarsi favole sull’efficienza e ricomincia a guardare in faccia i suoi guai: le liste d’attesa infinite, i treni che non passano, i salari che non bastano.

Perché i lombardi non chiedono miracoli, chiedono cose normali: che un ospedale funzioni, che un insegnante non sia lasciato solo, che una busta paga non sia una condanna. È da qui che può ripartire una politica, non da un algoritmo o da una slide.

La verità è semplice: o la Lombardia cambia, o continuerà a sembrare una locomotiva ferma in stazione, con mezzo milione di passeggeri che non salgono mai sul treno.

E se non cambia qui, dove dovrebbe cambiare? In quale altra regione d’Italia, se non in quella che per decenni ha dettato il passo al Paese?

Il Laboratorio è questo: non un fuoco d’artificio, ma la fatica quotidiana di rimettere insieme una comunità. Perché la Lombardia non ha bisogno di un’altra campagna elettorale: ha bisogno di una sveglia.