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Sala piena a Torino. E tra gli autoconvocati arrivano, e intervengono, Bersani, Chiamparino e Franceschini.

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I democratici di domani, la prima generazione non di ex , i mille, i piombini, i Lingottini. Semplificazioni giornalistiche. Quel che è certo è che sono in tanti, la sala dei “cinquecento” del Lingotto di Torino non li contiene tutti. E molti stanno in una sala accanto, a seguire gli interventi da uno schermo.
La domanda che li ha fatti riunire è una: “quale congresso, quale partito”?
A parlarne sono amministratori locali del PD, segretari cittadini, presidenti di circolo e anche semplici simpatizzanti.
Un incontro, come dice Giuseppe Civati, consigliere regionale in Lombardia e tra gli organizzatori, che vuole essere “una Woodstock democratica”. È il momento, scandisce, “il momento di cambiare e di costruire quel Pd finora solo immaginato, che nessuno ha mai visto e che in natura non esiste, perché dobbiamo ancora costruirlo. Di dire basta ai Ds e alla Margherita, perché sono finiti. Non ci sono più. Ai dalemiani, veltroniani, vulcaniani. Di far parte di un partito in cui siano importanti i big, ma soprattutto i little, come oggi, qui a Torino”.
Descrivendo gli autoconvocati, cita Obama “noi siamo quelli che nessuno stava aspettando. Che intendono sottrarsi a una logica sbagliata e pericolosa per noi e per gli altri. Che vogliono partire dalle proposte, dal progetto, da un dibattito finalmente libero e senza condizioni. Che vogliono essere diversi per non ripetere gli stessi errori. Noi siamo il Pd.”
“I circoli sono e devono diventare sempre di più la spina dorsale del partito”. È la parola d’ordine del segretario del circolo Sanità di Genova, Oleg Curci, che chiede “un partito efficace, solido, pesante sul territorio. Leggero nella struttura e nella dinamica decisionale. Pronto a fornire risposte e linee di condivisione politica per tutti”.
E il rispetto dell’articolo 28 dello statuto del PD, che prevede la consultazione degli iscritti per le decisioni degli indirizzi politici del partito.
Ma per fare questo spiega “i circoli devono essere messi in condizione di lavorare. Di avere fondi certi che provengono dal tesseramento, di essere in possesso di un personal computer e di una connessione ad internet. L’ideale sarebbe un social network dei circoli, che permetta di presentarsi e di far conoscere agli altri le proprie iniziative, così da non fare 2 incontri uguali, lo stesso giorno, sullo stesso territorio, ma di unirsi ed aiutarsi”.
Tanti interventi, tutti brevi. La vicesindaco di Vicenza, Alessandra Moretti, tra i vari oratori, ha parlato con orgoglio della vittoria del Pd nel nella sua città e in controtendenza rispetto ai risultati nel nord del Paese,”non nella padania che non esiste”, e poi ha aggiunto con soddisfazione che è stato possibile grazie “all’ascolto del territorio” e a provvedimenti conseguenti, come quello che limita al 30 per cento la presenza di stranieri nelle classi scolastiche. Un regime di apartheid, per la rappresentante vicentina del partito, era diventato un “esempio da esportare”.
Michele Fina, segretario del Pd dell’Aquila nel suo discorso ha auspicato che il Pd diventi “un partito che abbia una missione, intorno alla quale costruire alleanze politiche e social eha presentato un documento per spazzare le macerie da L’Aquila., dal PD, dal Paese”. Cristiana Alicata, romana ed omosessuale, ha tirato fuori un foglietto con delle domande ed ha chiesto a Franceschini: “Appoggerai il disegno di legge contro l’omofobia”. Poi ha insistito: “Parteciperai-parteciperete mai al Gay Pride?”. “Ti batterai, vi batterete per noi?” “Potrò mai sposarmi con la mia compagna, il mio partito farà mai con me questa battaglia?”

È il turno di Sergio Chiamparino. È il primo dei big, non previsti nella scaletta, a intervenire: “Vedo una straordinaria potenzialità nell’incontro di diversità”, dice alla platea, che lo interrompe più volte per applaudirlo. E chiarisce per quel che riguarda la sua possibile candidatura: “Io ho questo atteggiamento: vedere quali sono le idee in campo, valutare e decidere tenendo conto quali sono i problemi fondamentali a cui noi dobbiamo dare una risposta”. Scandisce per titoli cosa deve fare il Pd per il paese. Stato sociale. “Gli operai votano Lega perché la casa popolare e l’asilo nido gliel’hai data al marocchino. La risposta è fare più case popolari e asili nido”. La laicità: “Non sono riuscito a convincere mio figlio a votare per il Pd. Il problema non è tra credenti e non credenti ma tra autorità e libertà sulle scelte che riguardano l’individuo. Lo dico ai candidati – conclude -, lo dico a me stesso: evitiamo un congresso per tautologie, ci manca l’entusiasmo di chi pensa di essere dalla parte giusta”.
In platea ci sono anche Dario Franceschini e Pierluigi Bersani, già candidati alla segreteria, ascoltano gli interventi, e hanno scelto di non intervenire. Ma è la presidenza dell’assemblea a chiedergli di intervenire. Inizia Dario Francheschini, che scandisce che “è sacra la laicità dello stato”. E promette che, se eletto, la sua squadra sarà composta da “sindaci, parlamentari radicati nel territorio, persone della società civile. Senza nessun riferimento ad appartenenze e a nomi dati da quelli che contano”, e indicando quale sarà la sua squadra prima e non dopo le primarie. Il rinnovamento: “E’ un problema che riguarda il gruppo dirigente”. “Il rinnovamento bisogna conquistarselo con il sudore, dal basso. Non è come il nuovisimo, uno stato dell’animo”.
Il segretario uscente invita tutti a non vedere il congresso come una “guerra tra bande”, o una “resa dei conti”, è solo un discorso di democrazia. In chiusura l’invito a iscriversi al Pd: “Venite cambiate quello che non va”.
Pierluigi Bersani apre ricordando che il copyright sul “no al partito liquido” appartiene a lui: “chi lo vuole io penso che abbia rinunciato a cambiare la società”.
Rassicura la platea: “Nuova generazione, meccanismi di partecipazione, le cose che si sono dette questa mattina nella mia piattaforma non le sottovaluto affatto”, “una nuova generazione non c’è da inventarsela c’è da riconoscerla, rendendola pienamente protagonista della discussione politica che avverrà al congresso e che io propongo che sia incentrata su noi e l’Italia. Gli italiani devono capire che stiamo parlando di loro e in particolare ai ceti popolari e produttivi di questo paese da cui noi ci stiamo distaccando. Se perdiamo questa occasione si apre una questione molto seria per la gente che vogliamo difendere”.
Rivendica il suo percorso politico. “Il nuovo, va bene. Ma alle spalle abbiamo 150 anni di responsaiblità, non è questione di Dc, Pci, compromesso storico, ma di 150 anni di storia popolare, di gente che ha fatto sacrifici e ha pagato prezzi ben più alti dei nostri. Questo congresso può farci fare un passo avanti. E’ il primo congresso. Fondativo. Facciamo una discussione politica sull’Italia. E intanto diamoci strumenti nuovi di partecipazione. Io punterò sul territorio”
Nel pomeriggio è Ignazio Marino a salire sul palco, in un discorso che ottiene gli applausi più scroscianti e convinti. "Il Partito democratico deve ripartire dai temi che interessano la vita di ognuno e non dagli equilibri interni.” Il Congresso di ottobre deve essere “per parlare di lavoro, di salari, del milione di persone che ogni anno emigra dal Sud per curarsi al Nord, dei precari della scuola pubblica, anch'essa sempre piu' precaria''.
Irremovibile nella difesa dei diritti civili.:“Voglio uno stato che difenda i diritti civili, che siano uguali per tutti: uomini, donne, omosessuali, malati”. “Il testamento biologico è stata una cartina di tornasole. Si sono inventati la posizione prevalente. Per me il metodo è un altro: si discute si decide e si vota e quel voto è la misura di una battaglia in parlamento”.
“Alzi la mano chi non ha telefonato o scritto a Debora Serracchiani in questi giorni”. Inizia così l’intervento della neo-eletta all’europarlamento. Che continua:“Volevo dirvi qualcosa che vi aspettavate. Ma ve lo dirò un’altra volta”.
La necessità del partito, spiega, è costruire una squadra, una classe dirigente “che non si accontenti di vincere il congresso ma che vinca le elezioni”. Ma per fare questo c’è bisogno di un patto, che qualcuno tra i vecchi si faccia da parte e dica:”vi aiuto a diventare classe dirigente del 2013". C'è bisogno di un patto generazionale.
“Non abbiamo bisogno di un capo, di una figura di una figura salvifica, del messia. Queste figure qui lasciatele agli altri”,“Io ci sarò, perché è importante che ci siano persone come me. Ma ci dovete essere anche voi perché senza di voi il congresso rischia di essere una resa dei conti” Invitando anche lei tutti a iscriversi e a partecipare al processo che porterà all’elezione del segretario del PD.
E dopo tanti interventi l’appuntamento del Lingotto si chiude senza la presentazione di una candidatura generazionale paventata dai giornali e con il lancio di una grande campagna di tesseramento per l’11 luglio “quando tutti i circoli saranno aperti e così ci potremo contare”.

Francesca Minonne
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